Cultura

Roccamonfina-Foce Garigliano: è ancora un «Parco di carta». Bene i convegni, ma la cultura della classe politica locale non è, per buona parte, all’altezza delle sfide.

Manca la consapevolezza che la crisi climatica cambierà tutte le carte in tavola e occorre, già oggi, adattare le infrastrutture fisiche e tecnologiche.

TEANO (Fernando Zanni) – Lo scorso 30 settembre, si è tenuto a Teano, organizzato dalle Società Naturalisti di Napoli e Lichenologica italiana, un importante convegno scientifico sul patrimonio naturalistico, sulla fauna e flora del Parco naturalistico di Roccamonfina e Foce del Garigliano, con un parterre di tutto rispetto, presente anche i rappresentanti del Parco di Roccamonfina.

A bocce ferme, può essere questa l’occasione per riflettere sull’impatto dei convegni e degli studi nei Comuni marginali, ovvero nei “territori rassegnati”? Forse si.

Potrebbe essere interessante, insomma, capire se il grande patrimonio di biodiversità, di cultura e di conoscenze scientifico-naturalistiche, nell’area del Parco “Vulcano di Roccamonfina e Foce del Garigliano” (intendo i territori dei sette Comuni dell’area protetta), abbiano o meno, qui e ora, la possibilità di essere valorizzate e fertilizzate con l’attuale classe politica locale e con la odierna gestione del Parco.  

Ovviamente, alcuni Comuni fanno eccezione e si distinguono per vivacità e senso del futuro, altri meno, altri ancora lasciano il segno zero. Ma complessivamente il paesaggio politico è desolante!

La nota critica (utopica) sulla struttura del convegno

Ma prima di rispondere alla domanda iniziale, oso fare, se è lecito, una nota critica alla struttura del convegno del 30 settembre, ripeto molto importante dal punto di vista scientifico e naturalistico. Una “critica utopica”, per dirla con lo storico Philipp Blom, in grado di orientare l’agire.

Qualcosa non mi torna, quando un convegno diventa anche una passerella politica, quando si è in armonia con tutto e tutti, come se la conoscenza scientifica dovesse essere opportunisticamente neutrale, conciliante e accomodante e non dovesse anche, invece, calarsi nei contesti geo-politici locali e indicare, possibilmente, le cose che non vanno.

Voglio essere più chiaro, per evitare fraintendimenti. Io penso che accanto ad un ecologismo scientifico-naturalistico, ripeto vitale e necessario, è sempre più utile e urgente, contestualmente, offrire o tracciare un percorso costruttivo critico, una tesi che possa alimentare l’antagonismo, il conflitto (in senso etimologico), che è il motore dell’evoluzione culturale e civile di una Comunità.

Non lo dico io, lo hanno detto e scritto Norberto Bobbio e Nadia Urbinati: “libertà e conflitto sociale e politico (ovviamente non violento), sono i pilastri del liberalismo e del socialismo democratico”. Qui, ovviamente, auspico un balzo in avanti, una sintesi di questi due pilastri con il pensiero ecologico, per essere all’altezza della sfida climatica, come ci chiede anche Francesco nella “seconda Laudato sì”.

Ma questo, lo affronteremo in un altro articolo. La domanda che è mancata al convegno è questa: “L’Ente Parco e i Comuni interessati cosa hanno fatto e cosa fanno per tutelare la biodiversità, per evitare il depauperamento del patrimonio naturalistico, culturale, sociale?” O ancora, “In che modo le nuove ricerche, che raccontano della ricchezza degli ecosistemi ma anche dei danni inferti loro dalla mala politica, saranno utilizzate da chi governa i territori?”

Ecco, forse esagero nella critica ma l’illusione che tutto possa funzionare assieme (tutti a battere le mani: distruttori, negazionisti, studiosi e conservazionisti), porta con sé un pericolo distruttivo, quello di imprigionare chi è fuori dal coro (chi ha un approccio critico) nella logica amico-nemico (C. Schmitt). Insomma, un detto popolare dice che “mentre il medico studia il malato muore”! Ecco, decodificandolo direi che bisognerebbe superare il dualismo ontologico conoscenza –azione di tutela, a favore di un intreccio virtuoso cooperativo.

La crisi climatica, l’aumento della temperatura media del pianeta e il necessario ruolo sperimentale dei parchi e delle aree protette

Pongo questi problemi, perché come dice Luca Mercalli “non c’è più tempo”, la scienza quasi all’unanimità (il 97% degli scienziati) ci avverte che l’Europa meridionale e, in particolare, il Sud dell’Italia è un hot spot climatico (un punto caldo), rispetto all’aumento medio della temperatura del Pianeta già in itinere e previsto per il 2030 e il 2050. I modelli dell’Ipcc (il gruppo scientifico intergovernativo di 195 Paesi sui cambiamenti climatici dell’Onu), rappresentano nello scenario più critico un Sud Italia con un clima simile a quello del Nord Africa.

Ma i cambiamenti e la volatilità del clima sono già in corso! I Sindaci, il Parco di Roccamonfina e gli altri Enti Parco non possono ignorare questo fatto, sarebbe un errore grossolano delegare tutto alla politica nazionale e agli accordi internazionali. I sistemi territoriali locali (il Parco, le Unioni dei Comuni, i Gal, le Comunità Montane, etc.), possono e devono dare un contributo alla conservazione degli ecosistemi, alla protezione degli endemismi, alla transizione energetica, alla creazione di una nuova economia giusta e alle politiche di adattamento.

Essi devono sapere che conservare e restaurare la biodiversità del Vulcano di Roccamonfina e la Foce del Garigliano è fondamentale non solo per il suo valore intrinseco, ma anche perché assicura ad esempio aria pulita, acqua dolce, suolo di buona qualità e impollinazione delle colture (i famosi servizi eco-sistemici). Favorire la transizione energetica, attraverso un programma unitario dei sette Comuni, significa contribuire alla autonomia energetica delle Comunità, significa combattere la povertà energetica con le Cer, mitigare le emissioni di anidride carbonica.

Procedere immediatamente con un progetto di adattamento, significa progettare diversamente le strade, le fogne, la mobilità. In tutti i Comuni del Parco, per es., si stanno rifacendo alcune strade, ma sono state progettate per adattarsi alla volatilità climatica? Non credo proprio!  Ecco, c’è una rivoluzione “green” da fare e si fa insieme alle Comunità, favorendo la trasparenza, la partecipazione e la critica; i Comuni devono collaborare almeno a livello di pianificazione strategica del Parco, poi ci si può anche fare concorrenza con le feste, le sagre, il marketing, i trekking o le escursioni, ma è del tutto evidente che il Parco oggi non può essere solo questo! É criminale solo pensarlo!

I 7 magnifici sindaci e il presidente del parco “area vulcanica di Roccamonfina e Foce del Garigliano”, saranno in grado di attivare questa riconversione?

Orbene, la domanda principale può essere ora così riformulata: c’è speranza che i Sindaci dei sette Comuni del Parco inizino a capire che stare nell’area protetta del Vulcano di Roccamonfina significa far parte integrante di un unico sistema territoriale? C’è speranza che la Regione dia piena attuazione alla legge regionale istitutiva dei Parchi, peggiorata dalle varie modifiche operate con le leggi finanziarie?

C’è speranza che i Presidenti dei Parchi non vengano più lottizzati dai partiti che governano la Regione? C’è speranza che si capisca che la biodiversità ci aiuta a combattere i cambiamenti climatici e ad adattarci a essi, oltre a contribuire a ridurre l’impatto dei pericoli naturali e che il suo depauperamento ha quindi conseguenze fondamentali per i sette Comuni, l’economia e la salute di tutti? 

Si gestirà in futuro il Parco anche come laboratorio sperimentale dello sviluppo socio-economico sostenibile? Antonio Gramsci parlava di “Pessimismo della ragione, ottimismo della volontà”. Ed è già una risposta conclusiva a tutte le domande.