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«Quale futuro e quale sviluppo», grido di allarme del Cai di Caserta a Roccamonfina sulle sorti del Parco del Vulcano di Roccamonfina-Foce Garigliano.

Ma 6 sindaci su 7 hanno disertato il Convegno. Montefusco: «La Regione avrebbe dovuto rinnovare il mandato al Presidente Verrengia».

TEANO (Fernando Zanni) – Dopo il Convegno di studi scientifici a Teano, del 30 settembre scorso,  della Società Lichenologica Italiana e della Società dei Naturalisti in Napoli, sull’eccezionale  patrimonio di biodiversità presente sul Vulcano di Roccamonfina, ieri 28 ottobre alle ore 9:30 il Cai (Club Alpino Italiano) di Caserta, nella sala consiliare del Comune di Roccamonfina, ha provato a interrogarsi su “Quale futuro e quale sviluppo” per l’area protetta dell’Alto casertano, chiamando a raccolta i sette Sindaci, alcuni esperti e il mondo dell’associazionismo. E che il nostro sia ancora un “Parco di Carta”, poco sentito e poco amato se non per qualche finanziamento da accaparrarsi, lo ha dimostrato proprio ab initio il numero di Sindaci presenti al Convegno: uno su sette!  Tre, invece, le Associazioni in ascolto: Legambiente di Sessa Aurunca, la “Comunità Laudato Sì-Teano Vulcano di Roccamonfina” e l’Associazione “Zafferano Terra di Lavoro”. 

La doppia polemica di Montefusco e il nutrito parterre di esperti

Ma il Cai ne esce, comunque, a testa alta. I saluti iniziali del Sindaco di Roccamonfina Carlo Montefusco, gli hanno offerto l’opportunità di accennare ad una doppia polemica con la Regione e con “Legambiente” di Sessa Aurunca. Secondo Montefusco, la Regione avrebbe dovuto rinnovare il mandato al Presidente uscente del Parco Verrengia, che si sarebbe speso molto per l’Area protetta, mentre “Legambiente” di Sessa avrebbe un approccio esclusivamente contenzioso, attraverso diffide, esposti e denunce.

I lavori, invece, sono stati moderati con raffinata eleganza da Gino Guadalupo, operatore CAI- TAM (Tutela Ambiente Montano) e gli interventi si sono susseguiti mettendo talvolta sul tavolo argomenti importanti e proposte, ma non nascondendo limiti e criticità. Hanno dato il loro prezioso contributo nell’ordine: l’agronomo Enzo Compagnone, l’archeologo Simone Foresta della Soprintendenza ABAP di Caserta e Benevento, Gianfranco Vicario del presidio slow Food di Teano, Giuseppe Spina, Presidente CAI di Caserta, Simone Merola della TAM-CAI e Luigi Maria Verrengia, Presidente uscente del  Parco.  Le conclusioni, invece, sono state affidate al dott. Filippo Di Donato, coordinatore Gruppo di Lavoro CAI Parchi e Aree protette.

Le nostre note critiche-La necessità di uscire dallo schema classico e inadeguato di un Parco che asseconda e foraggia i campanilismi, per costruire, invece, una programmazione strategica eco-sostenibile di tutto il sistema territoriale del parco.

Come si è detto, tutti gli interventi sono stati interessanti , tutti hanno sottolineato l’importanza di fare rete, alcuni hanno anche messo sul piatto cose concrete fatte (Spina, Verrengia, Merola, Vicario) e da fare  o in itinere (Foresta, Verrengia, Di Donato). L’intervento conclusivo di Di Donato ha poi allargato il campo, indicando una strada in salita ma da percorrere verso la convergenza di interessi comuni, la cooperazione tra Aree protette, statali e regionali, richiamando l’attualità del progetto “APE” (“Appennino Parco d’Europa”), ma anche l’importanza della mission di Federparchi per le aree protette in generale.

Tuttavia, lo stato dell’arte del parco di Roccamonfina è dominato ancora oggi da varie costanti non propriamente adeguate ai tempi: i Comuni vanno in ordine sparso, ognuno per se’; i Sindaci hanno in testa il loro campanile (che perimetra il loro areale elettorale), ma anche una ingenua e miope idea del micro-turismo attratto esclusivamente da festival, sagre e feste paesane; la  Regione, da almeno dieci anni, non ha mai considerato i Parchi regionali come “laboratori di sviluppo eco-compatibile”; l’Ente Parco, non avendo finanziamenti diretti e una struttura organizzativa adeguata, asseconda la concezione economicistico-lillipuziana dell’area protetta; i produttori sono portanti, senza una guida politico-programmatica alta e di “sistema territoriale omogeneo”, a dare prevalenza ai guadagni ed ai profitti personali in competizione con gli altri anziché cooperare. L’attività, fondamentale, di conservazione, tutela e restauro degli ecosistemi naturali è una chimera.

Serve un approccio sistemico, capace di coniugare i due obiettivi fondamentali: la conservazione e la tutela della natura con la valorizzazione di attività economiche eco-compatibili. Può aiutare la strategia di lotta alla crisi climatica.

E allora a nostro avviso serve una svolta, una discontinuità. A partire dalla concezione stessa dello “sviluppo sostenibile”, che si realizza molte volte solo con l’aggiunta dell’aggettivo.  Forse, una guida, un obiettivo comune, una direzione di marcia dei sette Comuni del Parco e del Presidente dello stesso potrebbe essere ricavata dalla crisi climatica, evocata en passant nel convegno, che incalza e de-struttura i delicati ecosistemi del Vulcano. Non si ha la consapevolezza che il mezzogiorno d’Italia è un “punto caldo” della crisi del clima (+ 1,5 gradi, rispetto alla media planetaria dello 0,7 gradi) e che questo ha già oggi effetti nefasti sull’agricoltura e la frutticoltura del nostro Vulcano e ne avrà ancora di più nel prossimo futuro, per lo sviluppo e l’acclimatazione, per esempio, di parassiti e insetti nocivi per la vegetazione.

Non si ha la consapevolezza che la qualità delle castagne, le nocciole, il cece, l’olivo, etc. , si protegge se si conservano e/o si restaurano gli ecosistemi naturali che ci forniscono servizi eco-sistemici (acqua pulita, aria pulita, suolo fertile).  

Non è comune l’idea che la qualità dei prodotti, in un’area protetta, è legata a doppio filo all’assenza di pesticidi e concimi chimici, senza i quali l’albero è più forte ed è in grado di proteggersi dagli attacchi dei parassiti. Non si capisce che c’è urgenza di elaborare, con finanziamenti o meno non ha importanza, un progetto strategico complessivo dei sette Comuni, che metta al centro tutto il loro potenziale culturale, naturalistico, paesaggistico, urbanistico, monumentale, archeologico, agricolo, artigianale, etc. Non si coltiva l’idea che i sette Comuni devono, urgentemente, insieme elaborare un piano di mitigazione della immissione di CO2 in atmosfera e un piano di adattamento alla crisi climatica. Senza cadere nell’ingenuità che “non sono previsti dalle norme”, come ho sentito dire al Convegno. Questa è la chiave di volta! L’Ente Parco, non deve correre dietro solo ad ogni festa o sagra, ma deve impegnarsi soprattutto per costruire, d’intesa con tutti i soggetti interessati, una programmazione strategica eco-compatibile.